Lo stilista, dopo la prima sfilata di pret à porter , nel 2008, ha continuato a macinare successi di critica e di pubblico. Ecco cosa ci racconta dopo la sfilata dell’A/I 2016, a Milano Collezioni
In tempi non sospetti, durante un’intervista del 2009, alla domanda «cos’è per lei la moda?» Gabriele Colangelo rispose:
«Per me la moda è perseguire un sogno, senza il “sogno” non c’è creazione, ed è questo che mi prefiggo di fare tutti i giorni quando creo un capo insieme ai miei collaboratori Inoltre, seguo sempre un “filologico”: il segreto è avere una storia che ha una sua coerenza, e di portarla avanti!.
In questa frase si racchiude l’essenza stessa di Gabriele Colangelo, allora giovane stilista, eppure già talentuoso, che si affacciava al mondo della moda. Nel 2008 vince-il “Who’s next”, un concorso indetto da Vogue Italia e da “Alta Roma” che lo fa decollare, consacrandolo uno dei giovani creativi italiani più promettenti. Da li in poi ne è passata di acqua sotto i ponti….
Ecco cosa ci ha raccontato
Lei è figlio d’arte, proviene da una famiglia di pellicciai, e si vede a colpo d’occhio. Quasi in ogni suo capo, nell’A/I 2016 sono presenti pellicce, stole, pannelli di pelliccia, inserti in pelliccia. La collezione è ricca di velluti, organze, trasparenze, sovrapposizioni e pannelli asimmetrici Per i materiali pregiati e gli inusitati accostamenti è una collezione che si può definire di alto artigianato. A cosa si è ispirato?
«La collezione autunno inverno è un omaggio alla tradizione della pellicceria, pensata come espressione di alto artigianato che trae ispirazione dalle opere tridimensionali di Christian Maychack.: i movimenti ondulati sui capi alternano differenti tipi di pelliccia, emulando la geometria organica delle sue opere.
I ricami e gli jacquard evocano invece le installazioni di Elena Herzog».
Nel 2008, anno in cui debutta sulle passerelle milanesi, ha vinto il prestigioso Premio“Who is next”. Si è sentito un predestinato? Le ha dato un ulteriore impulso?
«La vittoria del concorso ha rappresentato una tappa importante, più che altro come riconoscimento di un valore e di una potenzialità che pertanto mi sono sentito spronato a esprimere. Prima di allora ho avuto esperienza per dieci anni presso grandi aziende,al fine di maturare competenze nel settore. Ho deciso di intraprendere la strada di autore di una collezione solo quando mi sono sentito pronto per farlo».
Nel passato ha collaborato con Ittierre, Versace, Cavalli, Burani. Cosa le è rimasto di queste esperienze, e da quale ha tratto maggiore “insegnamento” e arricchimento?
«Tutte le esperienze di lavoro che ho svolto sono state per me importanti e costituiscono il mio bagaglio culturale. In Ittierre ho mosso i primi passi ed è stata per me una scuola importante, poiché sono venuto a contatto con tutta la filiera del prodotto. In Versace e Cavalli ho lavorato su collezioni di prima linea, partecipato alle prime sfilate finalmente non da spettatore. Da Burani ho vissuto l’esperienza di head designer autonomo di una collezione.Tutte esperienze bellissime lavorativamente e umanamente, di grande passione ed abnegazione».
A suo parre, in una collezione, cosa fa la “differenza”? Sono i tessuti e le lavorazioni che fanno un capo bello o le proporzioni, i volumi, e magari gli accostamenti di colore o altro?
«Nel mio lavoro la materia è fondamentale per la costruzione di una collezione. Nuove soluzioni tessili rappresentano la sfida che mi pongo, in collaborazione con le aziende -specie comasche- più rinomate. Inediti equilibri materici e metamorfosi del tessuto sono le “ossessioni” su cui quotidianamente mi applico. Accanto a questi studi c’è sicuramente la forma, intesa come ricerca di purismo attraverso un processo di sottrazione e di conseguenza esaltazione della stessa».
C’ è ancora tanto nero in giro, non solo per la sera ma anche per il giorno. Non pensa che sia arrivato il momento di dire basta a capi total black che, obbiettivamente, possono esaltare la silhouette, ma anche appiattire la personalità di ogni donna? E ancora, non pensa che le collezioni minimaliste degli anni passati ne abbiano un po’ “mortificato” la femminilità? Cosa valorizza davvero una donna?
«Non ho mai fatto ampio uso di nero delle mie collezioni ma l’ho utilizzato solitamente solo accostandolo ad altri colori per ottenere un effetto grafico.
In realtà, bianco e grigio sono i miei colori di elezione. Personalmente preferisco una moda che esalti la femminilità, senza necessariamente scoprirla. Mi piacciono le donne consapevoli di se stesse, che si servono della moda come un linguaggio per esprimersi e non unicamente con finalità seduttive. Non credo che il minimalismo sia mortificazione, anzi esattamente il contrario, poiché lascia spazio alla personalità ed all’interpretazione personale dell’abito».
Last modified: 15 Giugno 2016