Nell’edizione del 2015 il muro simbolico dei 500mila visitatori era stato abbattuto, stabilendo il record assoluto. Quest’anno, quasi sicuramente, si registrerà una crescita ulteriore.
Ma questa edizione, oltre all’interesse artistico-culturale (che, ovviamente, resta primario), avrà un significato più ampio. Dovrebbe suggellare il rilancio del Paese.
La Biennale è da decine d’anni una delle grandi eccellenze italiane, come la Ferrari e Giorgio Armani. E’ la più importante rassegna d’arte del mondo, un primato che neppure negli anni più grigi è stato messo in discussione.
Bene, nonostante i soliti pessimisti, nonostante il sottile gusto autolesionistico degli italiani, il Paese è ripartito. A parte i dati statistici macroeconomici ufficiali, lo certificano i bilanci delle imprese. Come mi ha confermato l’amico Angelo Perrino, grande giornalista di matrice economica, direttore ed editore di Affaritaliani (il primo quotidiano online italiano) da Della Valle in giù, era molto tempo che non si vedevano bilanci aziendali (o semestrali, o trimestrali) così buoni. L’immaginario collettivo non se n’è ancora accorto, ma stiamo ripartendo. La prima a farlo è stata Milano che sull’onda lunga di Expo 2015 è tornata a essere una delle città mito del mondo.
Ora tocca a Venezia, certificare con una Biennale da sogno, il nuovo rinascimento italiano.
Per questo seguiremo con particolare attenzione, mese per mese, la Rassegna regina dell’arte visiva
Le aziende di medie dimensioni, quelle con fatturato da 3 a 130 milioni di euro e con un numero di dipendenti che va da 50 a 500, rappresentano solo il 2% delle imprese europee. Però generano oltre il 30% del fatturato di tutta Europa. Nonostante siano il motore dell’economia europea, le medie imprese si sentono trascurate sia rispetto alle piccole e piccolissime, sia rispetto alle grandi e soffrono della cosiddetta sindrome del figlio di mezzo. Queste aziende sono in grado di creare valore economico e opportunità; tuttavia di solito non ricevono il supporto necessario ad affrontare le sfide di business perché tutta l’attenzione degli enti governativi ed europei, così come quella degli istituti finanziari, è rivolta alle start-up e alle megaaziende. In particolare ci sono due fattori che frenano lo sviluppo di queste aziende: la complessità del contesto normativo e la difficoltà ad accedere a finanziamenti che permetterebbero loro di investire nel lungo periodo. Secondo una ricerca Coleman Parkes Research//Ricoh Europe (studio di cui Meg Portrait Review si è già occupata), la sindrome del figlio di mezzo frena non soltanto queste aziende, ma l’intera economia europea. La buona notizia è che le medie aziende sono molto dinamiche e hanno fiducia nelle loro possibilità. Nell’ultimo anno il tasso di crescita medio delle aziende coinvolte nella ricerca è stato del 16,5% e una su cinque è cresciuta di oltre il 30%. Si tratta di un ottimo risultato considerando che il tasso di sviluppo europeo complessivo (2015) si è attestato all’1,8%. Sebbene le medie aziende siano molto differenti una dall’altra, dalla ricerca Coleman Parkes/Ricoh sono emersi alcuni aspetti comuni. Ecco, secondo le imprese interpellate, quali sono le priorità di business per i prossimi due anni. Sviluppo di nuovi prodotti/servizi. Le medie aziende europee stanno cercando nuovi modi per ampliare il proprio portfolio di prodotti e servizi. Questo è particolarmente vero nei mercati in rapida crescita, come ad esempio la Russia, dove il 51% delle aziende del campione ha identificato il lancio di nuovi prodotti e servizi come assoluta priorità. In Italia la percentuale che ha indicato tale aspetto è del 42%. Per il 25% delle aziende europee l’implementazione di tecnologie digitali è stata fondamentale per generare nuove opportunità di fatturato, mentre il 24% ha affermato di aver ampliato grazie a esse la propria quota di mercato. La maggior parte delle aziende è convinta che l’utilizzo di strumenti per l’analisi dei dati sia fondamentale per conoscere meglio i propri clienti. Purtroppo però molto spesso queste aziende non hanno né le risorse finanziarie necessarie per investire in innovazione tecnologica né le competenze per gestirne l’implementazione. Gestione della crescita. Nei prossimi due anni le aziende di Paesi quali Francia (34%), Italia (30%) e Regno Unito (30%) si troveranno a gestire una forte crescita del proprio business. Questa è un’attività molto importante per le realtà che stanno abbandonando la dimensione di piccola azienda e che hanno quindi necessità di implementare processi e strutture formalizzate e sistemi di governance. Dalla ricerca emerge che il 38% delle medie aziende europee sta pianificando di quotarsi in borsa, mentre il 21% intende attuare operazioni di merger and acquisition. Innovazione dei processi e utilizzo di tecnologie per guadagnare vantaggio competitivo. Le medie aziende sono consapevoli dell’importanza dell’ottimizzazione dei processi (aspetto indicato dal 42% del campione italiano), ma molte stanno incontrando difficoltà in questo percorso di miglioramento. La maggior parte (77%) afferma che per rimanere competitive sia necessario innovare i processi utilizzando la tecnologia. Sfortunatamente il 27% ha difficoltà nell’ottenere finanziamenti. Le tecnologie per la digitalizzazione sono un’area di grande interesse. Tra i vantaggi ottenuti dalle medie aziende italiane che hanno già implementato tecnologie per la digital transformation vi sono: miglioramento del servizio ai clienti (indicato dal 38% del campione italiano), riduzione dei costi (38% del campione italiano) e ottimizzazione delle comunicazioni con i clienti (37% del campione italiano) . Miglioramento della produttività dei dipendenti. Molte aziende di medie dimensioni hanno difficoltà nell’attirare nuovi talenti (fattore indicato dal 24% delle aziende italiane – media europea: 27%) perché le persone preferiscono lavorare in imprese di grandi dimensioni. Il 58% del campione attribuisce questa difficoltà anche al fatto che non vengono messe a disposizione dei dipendenti tecnologie digitali all’avanguardia, un aspetto ritenuto molto importante specialmente dalle nuove generazioni. Per favorire l’ingresso in azienda di giovani talenti, le medie aziende devono disporre di soluzioni che consentano loro di svolgere al meglio il proprio lavoro e di essere produttivi. Il 32% del campione ha citato proprio l’aumento della produttività dei dipendenti come uno dei vantaggi ottenuti grazie alle tecnologie digitali. Innovazione tecnologica per trasformare il business. Il 26% del campione ha citato la trasformazione digitale come una delle priorità per i prossimi due anni. Ma allo stesso tempo l’innovazione tecnologica è considerata una sfida a causa della mancanza di finanziamenti. Le aziende di medie dimensioni dovrebbero mantenere una visione ampia dell’Ict piuttosto che focalizzarsi su singole problematiche e applicazioni, e valutare soluzioni per le comunicazioni digitali e la collaborazione –si pensi ad esempio a lavagne interattive e sistemi per la videoconferenz – per creare ambienti di lavoro moderni e in grado di attrarre i migliori talenti. Capire in che modo intraprendere questo percorso di cambiamento verso la trasformazione digitale può non essere semplice e collaborare con partner e vendor fidati è un must per riuscire a superare la sindrome del figlio di mezzo che sta frenando lo sviluppo delle medie imprese.
Inizio autunno all’insegna degli acrilici di Alberto di Fabio per la “Luca Tommasi Arte contemporanea”. La galleria milanese ha inaugurato lo scorso 22 settembre “Aura”, personale del 50enne artista abruzzese, che sarà in cartello sino al 19 novembre. In mostra una decina di recenti acrilici su tela, di medio e grande formato e una selezione di piccole opere su carta.
Pur poco presente alle aste (meno di una ventina, finora, le opere dell’artista battute nelle principali case d’auction), Di Fabio può contare su collezionisti importanti. Del resto vanta esposizioni prestigiose: Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, Estorick Collection di Londra, Cern di Ginevra, Mart di Rovereto; Macro di Roma. Fa parte inoltre della scuderia di Larry Gagosian a New York, città dove vive e lavora per gran parte dell’anno (per la restante fa capo a Roma).
La sua pittura si potrebbe, genericamente definire astratta, ma si basa su precisi spunti iconografici e tematici. In un dialogo serrato tra macro e microcosmi, la proliferazione di forme che caratterizza le sue tele fa riferimento al mondo della fisica e dell’uomo, mettendoli in relazione con lo spazio cosmico. Tra gli spunti che si sono succeduti nei recenti cicli dell’artista, i paesaggi montuosi come simbolo di elevazione mentale (nella mostra alla Fondazione Menegaz di Castelbasso, 2014); il cosmo e l’ambizione sublime di poterlo percorrere (Macro, Roma, 2015); il dialogo con la cultura umanistica del Rinascimento (nella mostra Cosmic gate, diffusa in vari luoghi storici di Ferrara – giugno-luglio 2016).
Nelle opere presenti alla Luca Tommasi, l’artista si concentra sul soggetto umano: lo spunto poetico sono «le potenzialità della mente, la sua aura e il suo magnetismo!, come dice lo stesso Di Fabio. Riferendosi simbolicamente a discipline tanto diverse come scienza, matematica, religione, filosofia e poesia, «i dipinti invocano una riconciliazione tra pensiero razionale e attività istintiva e creativa, tra emisfero sinistro e destro del cervello».
Sul piano stilistico, i lavori esposti rappresentano un’ulteriore evoluzione nella poetica di Di Fabio: il segno si inserisce armonicamente in una trama pittorica ancor più sviluppata e lavorata che in passato. Ma lo slancio creativo è sempre sostenuto da una struttura rigorosa: i contrasti di cui vive la sua pittura -tra pieni e vuoti, luce e buio, segno incisivo e gesto pittorico – danno vita infatti a un linguaggio sistematico, come un alfabeto da decifrare che ricorre di dipinto in dipinto.
Ricoh continua a essere leader nel mercato MPS (Managed Print Services) .Secondo il report di Quocirca “Managed Print Services Landscape, 2016”, infatti, l’approccio globale di Ricoh, grazie al quale l’azienda è in grado di fornire servizi uniformi e integrati a livello mondiale, ha contribuito a rafforzare la posizione di leadership dell’azienda giapponese.
Si legge nel report di Quocirca: “Ricoh è uno dei pochi vendor tradizionali del mercato del printing ad aver effettivamente trasformato la propria brand image, anche grazie a un focus sempre maggiore su aree quali gestione delle informazioni, mobility e cloud e alla proposta di servizi in grado di rispondere alle esigenze delle aziende di tutte le dimensioni”. Il report prosegue mettendo in evidenza come i Business Process Services e l’espansione nei servizi IT di Ricoh siano “elementi fortemente differenzianti”.
Commenta Louella Fernandes, Associate Director of Print Services and Solutions di Quocirca: «Quest’anno Ricoh ha registrato un’ulteriore crescita dei contratti MPS tradizionali, ma non solo: grazie alle competenze nell’ottimizzazione dei processi di business e nella gestione delle informazioni, l’azienda è andata oltre il concetto tradizionale di Servizi di Stampa Gestiti per offrire nuovo valore ai clienti. Quocirca ha posizionato Ricoh tra i fornitori leader di servizi MPS grazie alle acquisizioni strategiche effettuate, alla capacità di gestire ambienti multivendor e all’ampia gamma di soluzioni offerte. Ricoh continua non solo a crescere, ma anche a trasformarsi per rispondere alle nuove esigenze delle aziende in ambito MPS».
Gli MPS di Ricoh si collocano nell’offerta dei Managed Document Services (Ricoh MDS) per i quali l’azienda si avvale di oltre 30.000 professionisti interni in tutto il mondo e di 5 centri di competenza dedicati.
Ricoh collabora con i propri clienti per ottimizzare i processi con l’obiettivo di:
migliorare l’efficienza delle aziende
aumentare la sicurezza delle informazioni
ridurre i costi derivanti da ambienti di stampa non gestiti.
Il report della società di analisi valuta positivamente RICOH Global Clariti, una piattaforma per la gestione centralizzata di ambienti di stampa multivendor. RICOH Global Clariti fornisce informazioni in tempo reale sullo stato dei dispositivi generando report per il monitoraggio e il confronto dei livelli di servizio.
«Siamo orgogliosi del fatto che Quocirca ci abbia riconosciuto tra i leader per la quinta volta consecutiva e di come il report metta in evidenza la nostra capacità di fornire soluzioni in grado di trasformare il modo in cui i nostri clienti lavorano!», afferma Carsten Bruhn, Group Vice President & General Manager of Business Services Center di Ricoh Company. «Stiamo vivendo un periodo di grandi cambiamenti nel modo di lavorare. Dal momento che si evolvono anche le caratteristiche necessarie per essere aziende innovative e di successo, Ricoh lavora a fianco dei clienti per aiutarli a vincere le sfide di oggi e a prepararsi al futuro».
Un altro traguardo per l’arte visiva di Lorenzo Marini negli Stati Uniti. A poche settimane dalla sua mostra alla Gallery Center di Manhattan, in contemporanea con St-Art Mondadori Milano come artista del mese (Aprile), i suoi lavori sono stati notati da uno dei più grandi e importanti galleristi di contemporary art di Soho, George Bergèr. Così, per tutto il mese di luglio, sette dipinti del maestro saranno esposti al 462 West Broadway: Marini sarà l’unico artista italiano a essere rappresentato da questo famoso gallerista che ha come obiettivo quello di connettere collezionisti, investitori e artisti.
Le opere esposte sono state realizzate nello studio di Los Angeles di Marini. Rispetto ai lavori con cui si è presentato al pubblico italiano, la monocromia del bianco lascia lo spazio a campiture cromatiche vibranti e vivaci. Sempre alla ricerca del concetto dietro la forma e dunque scavando nelle architetture degli spazi, Lorenzo Marini si interroga sui temi della dualità universale, della dinamica delle forze naturali. Ma continua anche la ricerca degli Advisual, dove la pubblicità viene spogliata da ogni semantica per apparire nella sua forma scheletrica di catalogazione spaziale.
Dopo dieci esibizioni in Musei e spazi pubblici e la presenza all’ultima ArtBasel Miami, il tutto nello spazio di soli due anni(da quando cioè Lorenzo Marini ha deciso di rendere pubblico il suo lavoro silenzioso di un ventennio) la mostra alla George Bergèr Gallery New York rappresenta un traguardo importante.
Dopo la pausa estiva Marini presenterà in anteprima a Milano la sua nuova tematica TypeVisual, una ricerca sulla bellezza dell’alfabeto, con una personale dal 3 al 30 ottobre alla Permanente di via Turati a Milano. I collezionisti di attimi sono avvisati.
L’asta milanese del 5/6 aprile ha lanciato segnali positivi. Ma cosa c’è dietro il risultato monstre di Festa?
Un osservatore superficiale, che si limitasse a leggere le aride cifre, potrebbe dedurre che l’ultima asta milanese (e unica asta italiana per il moderno e contemporaneo del 2016) di Christie’s sia andata male: 4 lotti invenduti (o ritirati) contro il 100% di venduto del corrispondente appuntamento del 2015, che aveva realizzato un totale di aggiudicazioni superiore a 18 milioni di euro, contro i 13,6 milioni scarsi di quest’anno.
Ma se la matematica non è un’opinione, le cifre, come diceva Enrico Cuccia a proposito delle azioni, non vanno contate, bensì pesate. Innanzitutto, considerando le opere in asta, il risultato è soddisfacente. Ogni seduta fa storia a se, non è che due aste presentino gli stessi lotti. Un confronto strettamente aritmetico rischia di essere poco significativo.
Quello che conta, è il segnale lanciato.
Diciamo le cose come stanno. In Italia da qualche anno il mercato del moderno si è spaccato in due. Da una parte il figurativo è crollato, con autori che fino a poco tempo fa erano considerati delle star e che oggi faticano a essere accettati dalle regine dell’auction, la stessa Christie’s e Sotheby’s. Basti pensare a Mario Sironi e allo stesso Giacomo Balla. Dall’altro le avanguardie informali (in senso lato e a volte improprio, mettiamoci dentro, ad esempio, la Scuola di Piazza del Popolo che, come tutta la pop art in senso stretto è per lo più figurativa) hanno registrato exploit incredibili, che hanno tenuto alto l’interesse e il giro d’affari del settore. A fianco di maestri consolidati, che sono continuati a crescere (il sommo Lucio Fontana, Enrico Castellani) ve ne sono stati altri che hanno moltiplicato i propri prezzi in breve tempo. Primo tra tutti, Paolo Scheggi.
Lo scorso novembre, l’asta milanese di Sotheby’s aveva segnato però un rallentamento per alcuni autori che nei mesi precedenti avevano messo il turbo. Per restare a Scheggi, l’artista fiorentino scomparso a soli 30anni, nel 1971, aveva deluso. Ci si aspettava un ulteriore salto in avanti, e invece le sue opere in asta hanno faticato molto. L’appuntamento primaverile di Christie’s rappresentava quindi un banco di prova che è stato superato da Scheggi e da altri nostri autori degli anni ’50, ’60 e ’70.
Insomma, al di là delle aride cifre, l’asta ha ridato ottimismo, mostrando che il trend di crescita continua.
A sorprendere è stato però un autore di Piazza del Popolo, Tano Festa. L’artista aveva già destato scalpore a Sotheby’s novembre 2015, quando il suo lavoro “Al livello del mare. Studio numero 2”, proposto con una stima tra 50 e 70.000 euro, era stato aggiudicato per 145.000 euro (177.000 con i diritti.), segnando un nuovo record per l’artista. Record polverizzato a Christie’s: “Via Veneto 2” maxi opera in legno, carta e tempera su tela del 1961 di cm. 150X180, è arrivata a 410mila euro. L’acquirente, quindi, con i diritti d’asta, ha speso 517.800 euro. Da notare che la stima andava da 60 a 90mila euro. Ma come ha fatto un artista che fino a un anno fa faticava a essere venduto a qualche decina di migliaia di euro a raggiungere questa vetta? Senz’altro Festa ha goduto di una rivisitazione critica fortemente positiva, insieme ad altri autori del pop italiano. Ma questo non basta certo a giustificare un exploit di mercato, che molti hanno visto come frutto di un movimento speculativo organizzato a tavolino. In altre parole, un’azione concertata per portare alle stelle le opere di Festa. Meg-Portrait si propone di andare a fondo su questa vicenda. Per il momento possiamo anticipare che si vocifera che a puntare pesantemente su Festa sia stato uno dei più noti operatori del settore, il cui head quarter si trova a New York, con sedi in città di tutto il mondo, Italia compresa.
I consumatori sono inondati da email aziendali. Risultato: rifiuto e disgusto
Che l’arrivo di internet abbia rivoluzionato anche il modo con cui le aziende comunicano con i clienti, attuali e potenziali, è un fatto ormai assodato da anni. La possibilità di raggiungere il proprio pubblico in tempi reali e a costi ridottissimi rispetto alle tradizionali spedizioni postali ha spinto numerose imprese a puntare con decisione sulle email. Purtroppo il troppo storpia e un alto numero di imprese si è fatta prendere da una sorta di autentica email mania, che ha portato a effetti controproducenti. Lo conferma “Communication crackdown (Un giro di vite sulle comunicazioni)”, una recente ricerca realizzata da Coleman Parkes Research e promossa da Ricoh Europe. Nel corso dell’indagine sono state intervistate 2.892 persone di Regno Unito, Irlanda, Francia, Germania, Spagna, Italia, Sud Africa, Svizzera, Polonia, Russia, Belgio, Turchia, Paesi Bassi, Emirati Arabi Uniti, Svezia, Danimarca, Arabia Saudita, Norvegia, Qatar, Finlandia e Kuwait. I risultati sono allarmanti: il 57% del campione è disposto a interrompere ogni tipo di rapporto con le aziende che li inondano di comunicati on line, mentre il 63% intende, per ripicca, spendere meno per acquistare i prodotti di queste aziende. Non si tratta di semplici dichiarazioni di principio. Una quota rilevante di consumatori è già passata dalle parole ai fatti: il 20% degli intervistati ha già cambiato marca, abbandonando i prodotti delle aziende internet-invasive, mentre il 10% si è addirittura rivolto a un’autorità pubblica per non essere più disturbato.
A rendere ancora più grave la situazione è il fatto che non si tratta di semplice insofferenza. Chi si lamenta sostiene di avere subito un vero danno: il 25% degli inrvistati ha affermato di non avere rispettato scadenze contrattuali, in quanto l’avviso di pagamento si è perso nel marasma delle email ricevute. Mentre il 34%, sempre a causa del marasma di web comunicati ricevuti, non è riuscito a capire il costo di un servizio proposto, che pure avrebbe potuto suscitare interesse e il 37% non si è avvalso di offerte di cui aveva diritto.
Se tutti i settori sono stati bocciati in “e-comunicazione”, due in particolare meritano il cappello d’asino. Si tratta del comparto distributivo e di quello dell’istruzione. Sempre da “Communication Crackdown” emerge che il 76% del pubblio bocci come non pertinenti le email ricevute dalle aziende del trade, mentre il 75% del campione esprime lo stesso giudizio in merito a quelle ricevuti da istituti scolastici come scuole primarie, secondarie e università.
In sostanza emerge come il mondo delle aziende, private e pubbliche non abbia ben chiari i meccanismi della comunicazione on line. Tutto questo assume rilevanza se si pensa come nel mondo del lavoro e delle decisioni d’acquisto sta per entrare la generazione del digitale, la cosiddetta Z generation. E’ l’ultima generazione individuata dai sociologi. I suoi confini anagrafici sono incerti. Per gli studiosi più rigorosi è composta da chi è nato nel nuovo millennio, per altri comprende tutti i teen agers, compresi quelli che nel 2016 compiono 19 anni. Ma se anagraficamente potrebbe avere una parziale sovrapposizione con la generazione precedente, quella dei “millenial”, nata tra l’inizio degli anni 80 e la fine del secolo, la Z in realtà ha caratteristiche che la rendono unica.
Rispetto ai cuginetti maggiori, cresciuti nei forse noiosi ma ancora relativamente pacifici e ricchi anni Novanta, gli esponenti della Z generation sono i figli dell’11 settembre e della psicosi del terrorismo. Sono quindi meno autoindulgenti e più pragmatici. Nativi digitali per eccellenza Naturalmente, i ragazzi Z sono contrassegnati dalla passione per tutto ciò che è digitale. E, cresciuti con l’IPhone, si sono plasmati sul suo linguaggio e sui nuovi stili di comportamento che da questo strumento derivano. In generale si può dire che la loro formazione risponde a due parole d’ordine connettività e interazione.
Con l’arrivo della Z generation gli errori da parte della aziende nella e communication saranno accolti con ancora maggiore severità con gravi conseguenze per le aziende. Anche se, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, ci si potrebbe attendere che i nativi digitali, una volta entrati nel mondo delle aziende, non potranno che aumentare l’efficacia di tutto ciò che in azienda ha a che fare con internet, email comprese.